Robot, come li stiamo costruendo sempre più simili agli umani
| Wired Italia

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Con ChatGPT può interagire con i robot con un linguaggio naturale – spiega a Wired Nils Hagberg, alla gestione prodotto di Furhat Robotics, startup svedese di intelligenza artificiale -. Prima dovevi attenerti ad alcune domande: se uscivi dal seminato il robot si fermava, ti chiedeva di ripetere. Si perdeva il coinvolgimento perché avevi l’impressione di interagire con una macchina parlante. Ora il robot non si blocca. Magari dice una cosa imperfetta o sbagliata, ma l’illusione di parlare con qualcuno che capisce non si rompe mai”.

Furhat, spinoff dell’Istituto reale di tecnologia di Stoccolma, ha lanciato nel 2018, a quattro anni dalla fondazione, il suo primo robot sociale: una testa installata su un altoparlante, dotata di una maschera di plastica su cui viene proiettato dall’interno il volto dell’interlocutore. Da un manga dai luccicanti occhioni viola a una faccia severa e barbuta. A ogni personaggio, attraverso una piattaforma, si può associare una personalità, un passato, link a risorse online da cui pescare le informazioni per rispondere alle domande o canovacci di conversazioni a cui attenersi. “Attraverso le telecamere riconosce i volti, mantiene il contatto oculare ed è in grado di comprendere alcune emozioni, come il sorriso, che interpreta come feedback forti”, prosegue Hagberg.

Un cubo di Rubik

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Gli altri problemi

Per quanto siano utili nell’assicurare maggiore flessibilità ai robot, i grandi modelli linguistici (large language models, Llm) non risolvono tutti i problemi dell’intelligenza artificiale. “ChatGPT aiuta a risolvere parte del problema, come avere la risposta giusta a una conferenza stampa – spiega Goertzel, che ha utilizzato GPT4 (l’ultimo modello linguistico alla base del chatbot) e un modello interno per allenare Sophia, Grace e Desdemona -. È un ingrediente di valore perché ha molta più conoscenza degli altri. Se Grace deve rispondere a domande mediche, usa il nostro modello, ma per altre richieste casuali usa GPT4”.

Quello che però non risolve è arrivare a una coscienza dell’ambiente che circonda il robot. Rispondere a una persona che lo spinge: “Fermati o mi fai cadere”. O entrare in una stanza buia e andare ad accedere la luce. E questo, afferma Goertzel, è ancora un collo di bottiglia. “Molte delle applicazioni di un robot umanoide sono altre – puntualizza lo scienziato -. Se fosse solo un chatbot, non ci sarebbe bisogno del robot”.



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di Luca Zorloni www.wired.it 2023-07-09 04:50:00 ,

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